lunedì

A Christmas Tale

Era venerdì, credo, stavo tornando a casa.
Ero appena arrivato alla stazione di Reggio con un treno intasato di materia umana e cartacea. Materiale informativo e fotografie di macchine occupavano gli spazi vuoti tra gente che tornava dal Motor Show carica di depliant. Depliant dappertutto, forse più che le persone. Depliant di macchine che buona parte dei proprietari di depliant non avrebbe mai comprato. O -peggio- se le avessero comprate, depliant di come questi proprietari avrebbe infestato la vita di passeggeri ignari dicendo cose del tipo "sì, ma per favore, potremmo mettere la pizza nel bagagliaio, non vorrei che la mozzarella mi colasse sui sedili". Oppure del tipo "aspetta, non facciamolo in macchina, non posso spermare sul cuoio".
Avevo preso ad odiare tutta questa gente, senza ancora pensare ai sedili, alla mozzarella e allo sperma già a Bologna, quando avevo realizzato che presto la loro esistenza sarebbe stata d'intralcio alla mia. Ci avevo pensato vedendo arrivare il treno.
Sull'interregionale delle 17.30 in genere non ci sono posti a sedere. In genere. Nell'occasione la lungimiranza aveva anche previsto che in piedi si sarebbe stati stretti e che ci sarebbe stato caldo, anormalmente caldo. Tuttavia non era arrivata al livello di macchinosità tale da sospettare che ogni tanto sarebbero passati alcuni di questi gonzi con le borsine piene di sperma convinti che nella carrozza successiva avrebbero trovato l'oasi dei loro sogni con poltrone di cuoio e donnine del motor show a fare le inservienti al cesso.
In ogni caso, avevo estorto un posto d'eccezione: in fondo alla carrozza, vicino alla toilette, senza inservienti, nel disimpegno che sta tra il salotto e la porta d'uscita. Intorno a me le persone dentro ai cappotti: natanti col culo sprofondato nelle ciambelle salvagente di un parco acquatico, precisamente nell'attrazione che alterna parti a scivolo con vasche di raccolta. Intasati, quindi incazzati. Intasati perchè quelli davanti stanno facendo i cretini con una ragazza e non scendono alla vasca di sotto. Incazzati perchè non c'è mai un bagnino quando serve e nemmeno il controllore, ci sono solo depliant. Per fortuna che ci sono i depliant o la giornata sarebbe stata un incubo.
A dire il vero la categoria Motor Show raccoglieva solo il cinquanta per cento della popolazione in eccesso. L'altra metà erano studenti e lavoratori pendolari sommati a una rosa di persone di mezza età evidentemente non pendolari.
La realtà mostra che i pendolari si considerano superiori ai non pendolari, non fosse altro che dal punto di vista dell'esperienza. Si può notare quest'attitudine facendo caso ai commenti relativi alla norma dei disagi: in genere il pendolare si sente in diritto di lamentarsi con voce più alta e non vede l'ora di mostrare la sua conoscenza empirica al semplice viaggiatore. Questi, sentendosi un pesce fuor d'acqua, sentendo di aggravare la condizione degli stoici che affrontano le ferrovie italiane per indigenza o per il bene comune, reagisce annuendo docilmente o buttandola sulle colpe della politica.
Trovando terreno fertile nel secondo tipo di atteggiamento, il pendolare -che di solito è persona informata- coglie l'occasione per citare qualche pagina di cifre sugli sprechi italiani e, in questo modo, i due arrivano a ricomporre il disagio iniziale parlando di quanto siano peggio i politici. La cattiva gestione della cosa pubblica ha il non trascurabile effetto di garantire la pace sociale dei treni. Tra quelli che invece avevano scelto di annuire docilmente, c'erano per lo più le mogli di mezz'età dei tizi che stavano sfogando, nei discorsi sul malaffare italiano, la tensione accumulata durante le ore trascorse in giro per negozi.
Mi ero messo a trarre queste conclusioni guardando la signora che stava di fronte a me, una bellissima signora che non aveva depliant ma che, in compenso, portava cappotto e cuffia color delle mutande che si mettono dopo il bagno del 24 dicembre. L'effetto completo però, forse per le treccine bionde, era più del tipo "cappuccetto rosso" piuttosto che "piccolo aiutante di babbo natale pornografo". Non riuscivo a spiegarmi come mai una come lei fosse in treno a togliere spazio vitale a me e non a succhiare cazzi a centottanta all'ora in autostrada. Penso che i gonzi del motor show si stessero chiedendo la stessa cosa, sprofondati in un conflitto interiore che opponeva la loro fantasia alla coscienza sporca dei sedili di cuoio.
Oltre alla perversione maschile, alla carta stampata rindondante e a nient'altro, alcune esponenti di spicco del gruppo 'christmas shopping' tenevano tra le mani campioni rigorosamente gratuiti contenenti ettolitri di liquido corrosivo e acidi vari. Altre, trascinavano i mariti gonfiabili attraverso la sfilata delle carrozze. Nonostante ciò, lo facevano trasmettendo una parvenza di motivazione che le rendeva meno irritanti dei gonzi quando si appoggiavano su di me per passare: era evidente che a loro fosse stato promesso un posto a cui ambire.
A questo punto stavo considerando con lugubre compiacimento la maschera di cera di due che avevano appena scoperto che la prima classe era stata degradata in seconda, quando mi accorsi che la rassegnazione e la fila compatta di persone lungo la carrozza avrebbero impedito loro di procedere. Ciò significava che ci saremmo dovuti stringere e lasciare che anche loro accedessero alla nostra preziosa riserva di ossigeno in nome di qualcosa chiamato "diritti umani". Per chi non lo sapesse, il rispetto dei diritti umani si misura in treno. A quel punto, in mezzo ad una calca di persone affascinate dall'uomo che nasce libero e con qualità inalienabili, il mio senso del macabro era già ritornato odio.
Per di più la bellissima signora con il completo natalizio continuava a non guardarmi. Non lo avrebbe fatto per tutto il tempo del viaggio: il ritardo più quaranta minuti di percorrenza.
La stazione di Reggio era qualche luce gialla e una scritta bianca inghiottite dal buio. Voglio dire, il buio era una presenza concreta: si materializzava, ma evaporava subito appena ci entravate, lasciandovi addosso, in faccia, sull'ombrello, vapore acqueo ghiacciato, un misto di pioggia, nevischio e di quella materia indefinibile che sta nelle stazioni, che ha lo stesso odore dappertutto e che si appiccica ai vestiti dopo una sola andata. Neanche la voce metallica degli annunci ne usciva uguale a se stessa. L'uomo robot, quello che sprigiona razionalità e testosterone semplicemente annunciando il ritardo del treno, suonava un misero frocetto tremante. A quel punto non restava che sollevare la valigia e scendere le scale del sottopassaggio. Stavo tornando a casa.

Riemergo nel piazzale dietro alla stazione. Le stesse luci gialle. Gli annunci un po' più lontani. Le linee extraurbane che arrivano a far capolinea. Una sala d'attesa frequentata sempre dalla stessa gente che non consuma mai niente. Un grumo di persone ferme al numero sedici. Vado verso il numero sedici. Sto un po' in disparte, vicino a una panchina. Aspetto.
Ad un certo punto sulla panchina si materializzano un ragazzo e una ragazza, poi un marocchino, che resta in piedi. Il ragazzo e la ragazza prendono a discutere con il marocchino, sembra che ci sia qualcosa che non va.
Cerco di immaginarmi come sarebbe se adesso il ragazzo si alzasse e il marocchino gli tagliasse la gola, voglio dire, come sarebbe per me: forse la moralità pubblica potrebbe prendersela. Dopotutto ho visto che stavano discutendo, sapevo che la ragazza aveva paura, ero al corrente del fatto che quello era un marocchino. Lei direbbe che ho visto sgozzare il suo ragazzo in diretta e che non ho fatto niente per aiutarla, che era responsabilità mia perchè ero il più vicino e sapevo che sarebbe finita così, ma che ho scelto deliberatamente di ignorarli.
Inizio a prendere in considerazione la possibilità di spostarmi verso il grumo e mentalmente ne sento già il calore, ma non posso, non a questo punto, la ragazza mi ha visto, sarebbe un'aggravante perfetta perchè dimostrerebbe che, pur essendomi accorto di quello che stava per accadere -la mattanza- ho scelto di ignorarlo e anzi (qui entra in gioco l'aggravante) me ne sono andato per evitare di dover intervenire di fronte ad una situazione così palese. Decido quindi di restare al mio posto, rassicurato dal fatto che il ragazzo è ancora a sedere, il marocchino è ancora in piedi, nessuno si muove più del necessario, nessuno alza il tono di voce più del necessario, ogni cosa ha trovato i suoi argini di percorrenza.
A questo punto scelgo strategicamente di mettermi il cappuccio.
La scelta strategica è dovuta ad un fatto. Io il marocchino lo conosco. Meglio, mi accorgo di conoscerlo un attimo prima di infilarmi nel cappuccio, sperando che lui non riconosca me, almeno per il momento. Almeno finchè rischia di sgozzare il primo tizio che gli è capitato a braccio. Decido, visto che ne va della mia reputazione sociale, di prestare un minimo di attenzione alla conversazione, senza fare mosse che mi rivelino come un possibile appiglio per qualcuno.
Guardo gli addobbi natalizi dei palazzi che stanno di fronte a me dall'altra parte della stazione, guardo la luce accesa che esce dalle finestre di appartamenti dove ci sono bimbi che aspettano il natale.
Sembra che il marocchino -di cui non ricordo il nome- abbia già incrociato la ragazza da qualche parte e che adesso stia usando il pretesto per abbordarla, nonostante ci sia lì il suo ragazzo. Questi, per orgoglio maschile, deve difendere la sua posizione e sta cercando di far capire al marocchino che l'argomento non fa leva. La ragazza si limita a negare, ma con talmente tanta virtù da rendere dubbia la sua posizione. Il marocchino non cede, anche perchè in mezzo al grumo di gente ci sono altri due che sembrano marocchini che che senz'altro lo conoscono e che senz'altro si sono resi conto meglio di me della situazione, quindi lui non può compromettere non si sa bene cosa. Anche perchè in genere i marocchini non dicono cazzate, semplicemente colorano un po' i fatti.
Ad un tratto, la coppia rinuncia ad aspettare la corriera: si alza e se ne va senza che siano stati consumati spargimenti di sangue. Il marocchino, che probabilmente è obbligato a prendere quella corriera, rinuncia a seguirli e si avvia a salutare i due conoscenti. Nel frattempo mi nota. Stiamo a guardarci per un attimo, poi mi dice socchiudendo gli occhi: "Io ti ho già visto".
"Anche io ti ho già visto" gli rispondo socchiudendo gli occhi.
Ci diamo la mano.
"Ma dov'è che ci siamo già visti?" mi fa.
"Non lo so dov'è che ci siamo visti, secondo me da qualche parte".
"Sì, sì, da qualche parte. Aspetta un attimo."
Prende e va a salutare i due, ma tra loro non deve esserci un legame intimo perchè torna quasi subito da me.
"Allora dove ci siamo visti? Ma tu di dove sei?"
"Castelnovo, e tu invece?"
"Allora prendiamo la stessa corriera. Com'è che ti chiami?"
"Andrea. E tu?"
"Ma tu non compravi il fumo da me qualche anno fa?"
"Può darsi, non mi ricordo. Ma, come hai detto che ti chiami?"
"Ah, no. Tu stavi in compagnia con gente che comprava il fumo da me. O del fumo o della cocaina. Oppure tutti e due. Secondo me vendevo a qualcuno del tuo gruppo, o forse anche a te. Un sacco di roba però." Mi dice. Poi tira su col naso.
"Può darsi."
"Però io ti ho già visto, non hai un viso nuovo."
"Anche io ti ho già visto. Forse al campetto da basket in piscina. Non giocavi a basket? Aspetta, di dove hai detto che sei?"
Nel frattempo arriva la corriera.
"Comunque sì, del fumo, ma tanto, perchè io vendevo tanto fumo. Sei una faccia nota."
"Può darsi. Anche tu comunque sei una faccia nota."
A questo punto camminiamo insieme verso la corriera, ma lui non sale. Io mi siedo più o meno a metà, nel posto vicino al finestrino. Quando stiamo per partire sale anche lui, cammina fino in fondo poi torna da me e mi fa: "posso sedermi qui?"
"Certo" gli dico.
La corriera parte. File di luci multicolori tagliano la notte fuori dal finestrino. Dentro però non è buio: l'autista ha lasciato accesa la luce al neon del corridoio, appena dietro di noi.
"Allora, ma, insomma, dove ci siamo visti?" continua, poi tira su con il naso.
Inizio a credere che la conversazione stia ristagnando.
"Senti non lo so, non so neanche perchè ci conosciamo. In ogni caso, è da un pò che non ci vediamo, come va?"
"Ah, ecco, tu stavi in compagnia con uno di Castelnovo. Uno con i capelli lunghi, aspetta, come si chiamava?"
"Non lo so, può darsi, ma anche tu sei di Castelnovo?"
"Maikol, ecco, mi sembra Maikol. No? Non si chiamava Maikol?"
"Sì, conosco qualche Maikol, ma non credo che sia.."
"E adesso ti serve del fumo? Della cocaina? Quello che vuoi. Mi dai un colpo di telefono e ti porto tutto quello che ti serve."
"Oh, grazie. Sai, però, ho smesso, ultimamente."
"Ah. E come mai?"
"Mah, l'università, lo studio."
"Comunque io . Se conosci qualcuno che ne vuole, dagli il mio numero."
"Ah. E, quindi, così, adesso, vendi fumo?"
"No, no, no. Adesso ho smesso. Sono fuori da una settimana. Ero al Regina Coeli, sezione Alta Sicurezza. Mi avevano messo nell'AS. Io con la gente normale non ci sto" mi dice. Poi tira su con il naso.
"Ah. Spaccio?"
"Eeeeh. Avevo il trecentoquattordici: estorsione, il trecentodiciassette: estorsione aggravata, il quattrocentoventi: associazione a delinquere, mi hanno incastrato."
"Estorsione vuol dire.."
"Sì, poi mi hanno dato l'aggravata perchè dicono che ho fatto delle rapine ad Ancona, con passamontagna e tutto, con la pistola, mi dicono che hanno le prove, ma io ho parlato col mio avvocato."
"Scusa, ma quanto sei stato dentro?"
"Quattro anni."
"Cazzo. Tutti di fila?"
"Ogni tanto sono uscito, andavo in tribunale, poi a casa, ma non potevo stare in giro. Poi ne ho fatti anche un po' di fila."
"Ah. E ora?
"Posso andare in giro di giorno, ma alle otto devo essere a casa. Aspetta, che ore sono adesso?"
"Sette e dieci, devi firmare?"
"No, passano in macchina, basta che mi affaccio alla finestra e quelli stanno tranquilli, altrimenti mi danno evasione."
"E per quanto tempo?"
"Finchè non mi trovo un lavoro, mi hanno detto."
"E stai cercando qualcosa?"
"Ha! Ma ti sembra che io vado a fare il negro nei campi con te che mi dai le bastonate sulla schiena? Col cazzo. Quelli le catene le vanno a mettere a degli altri. Devo farmi otto ore in una fabbrica per uscire con la voglia di spararmi e per averci uno stipendio da fame? Col cazzo. Non ci metti me. Se vuoi ci metti i.. i Pakistani, se quelli lì vogliono fare gli schiavi. Quando spacciavo andava bene: me ne stavo in giro. A Milano, Parma, Roma. Avevo sempre qualche bella ragazza con me, avevo un buon giro di gente che conoscevo. A Tigurtina ci avevo un gruppo di amici: se tu mi facevi un ordine grosso io prendevo e andavo a comprare il fumo, poi ci incontravamo al parco, provavamo il fumo insieme, poi mi davi i soldi e via."
"Scusa, ma a quanto lo mettevi?"
"Mah, io ero onesto, per un kilo.. un kilo te lo facevo a duemila e cinque duemila e sei, ma era quello buono."
"E come hanno fatto a prenderti?"
"Ma boh, mi hanno detto che avevano le intercettazioni, dicevano che avevo il giro della roba. Ma io gli ho detto: senta, signor presidente, è vero. Mi faccio qualche canna, vado al sert e mi faccio seguire, ma a me dello spaccio non frega niente. Voi non avete le prove che sto nello spaccio. Certo, compro il fumo, ma non spaccio. Ma quelli mi hanno tirato fuori i numeri delle telefonate dal 2002."
"Cioè, è dal duemiladue che hai il telefono sotto controllo?"
"E chi cazzo se lo immaginava che dal duemiladue questi stavano ad ascoltare i fatti miei?"
"E sono bastate le intercettazioni a incastrarti?"
"Ma no, poi hanno tirato fuori dell'altra roba, hanno detto che sono andato ad Ancona a fare delle rapine, che loro ci avevano le prove."
"Un bel casino."
"See. E poi mi hanno messo nell'AS a Roma. Voglio dire, l'Alta Sicurezza, che io con gli altri non ci sto."
"Cosa vuol dire scusa?"
"Mah, hanno provato a mettermi con dell'altra gente in cella, ma io gli ho tirato un cazzotto in faccia a quello, ché già mi stava sul cazzo. Io in cella ci sto da solo, senza rotture di coglioni."
"E com'era stare dentro?"
"Nell'AS c'era la gente più pericolosa, quelli che hanno fatto le cose grosse: mafia, associazione con la mafia, roba del genere. In carcere ci sono i bracci. Io stavo vicino agli infami. Ma ti ho lasciato il mio numero?" mi chiede. Poi tira su con il naso.
"No, non me lo hai lasciato, ma chi erano gli infami?"
"Dai allora che te lo lascio."
"No, guarda, poi intercettano anche me."
"Eeeeh. Scheda nuova."
"Già. Non saprei, poi magari mi viene voglia di riprendere a fumare, forse è meglio di no."
"Ma dai, a parte quello. Te lo lascio, così. Poi ho smesso di spacciare, te l'ho detto."
"Magari dopo. Ma non mi hai detto chi erano gli infami."
"Ok. Erano quelli che stavano nel braccio vicino al mio. Reati di violenze, stupri e robe varie. Io li vedevo quando avevano l'ora d'aria. Il cortile era proprio sotto la mia finestra e io parlavo con un Albanese che diceva che avevano incastrato pure lui. Gli avevano fatto un mandato d'arresto in Albania perchè una lo aveva denunciato per violenza. Poi però lo hanno preso in Italia perchè quel reato ha il mandato d'arresto internazionale. Lui diceva che non era vero niente: la tipa era stata a casa sua, gli aveva fatto un bocchino e il giorno dopo lo aveva denunciato. Io però qualche sigaretta gliela allungavo lo stesso. E poi chi lo sa come stanno le cose?"
"Già. Nessuno."
Nel frattempo siamo arrivati a una fermata in mezzo al nulla. Il marocchino che non mi ha detto il suo nome si alza e si avvicina alla porta che sta proprio di fianco a dove siamo seduti noi. Le porte si aprono, mi fa un cenno di saluto, poi fa per scendere. Però invece di scendere si ferma sui gradini, si gira e mi fa: "Ma poi te l'ho lasciato il mio numero oppure no?"
Non so per quale ragione, ma a quel punto io stacco la schiena dal sedile, lo guardo con le sopracciglia alzate, metto le mani all'altezza della testa come se si trattasse di una rapina e gli rispondo: "No, no" e gli faccio un sorriso.
Lui tira su con il naso, poi si gira, finisce di scendere i gradini e scompare, avvolto dal buio e dalla merda che piove dal cielo.


Otrebor Red RuM