venerdì

future devil mouth

“Il fatto è che il tempo scorre in un verso solo, ma si riesce
a comprenderne il senso solo ripercorrendolo nell’altro:
perciò, ora, nel ricordo, rivedo noi che stiamo andando
dritti in bocca al demonio, ma in realtà non era così,
noi non sapevamo dove stavamo andando, non ne avevamo
la minima idea di cosa ci aspettava”.Quindi mi viene da pensare che bisogna assolutamente agire,in modo da creare materiale umano ed emozionale di discussione per il futuro,che inevitabilmente stiamo creando adesso.

Alberto Quintali

mercoledì

Quando Stevenson Kusumano prese la parola, nel preciso istante in cui il suo oramai fragile e quasi irrimediabilmente fottuto sistema nervoso stava per consentirgli di pronunciare poche parole tremanti e tuttosommato abbastanza banali - dopotutto come gli aveva sussurrato alcuni minuti prima Ms. Rosemary ('Dickie')* Annie tutti loro ci erano passati e tutti avevano pensato, ne era sicura, le stesse cose e inevitabilmente dopo alcuni minuti di parole incerte e caratterizzate da una sintassi alquanto precaria e/o indecifrabile le cose si sarebbero messe 'sul binario giusto', così disse R.A. pochi minuti prima con un piccolo luccicante pezzetto di basilico tra gli incisivi frontali superiori che si manifestò conseguentemente ad un suo sorriso accerchiato da profonde rughe nere, le mani nascoste nelle tasche - esattamente in quel momento, dalla strada una voce arrivò nella sala invasa dalla bianca luce al neon, passando attraverso la porta sulla quale erano incise le lettere AA MEETING e subito sotto (a spray) FAGGOTS, quindi lungo lo stretto corridoio formato dai due quadrati di sedie nere del tipo all'occorrenza richiudibili, per finire poi sul palco sulla sedia isolata e rivolta al contrario e la faccia bianca e spenta di Mr. Kusumano. Si sentiva ancora il rumore della pioggia.
K. non era mai stato un grande oratore, e quasi certamente mancava della conoscenza di larga parte della figura storica del medesimo. K. beveva con regolarità, Gin con più insistenza, e questo non poteva in alcun modo aiutarlo in una eventuale carriera oratoria, pensò K. Respirò a fondo, cercando di sentire un briciolo di vita emergere da qualche parte dentro il suo corpo disgustosamente magro e opaco e ricurvo, senza ottenere un successo anche solo parziale, come accadeva in ogni suo tentativo da un periodo troppo lungo e stretto per essere ricordato. Da chiunque, ed in particolare da Stevenson Kusumano. Il gruppo di quella sera, 11.27 pm EC, si identificava con il nome 'Bianconiglio', etimologia di strana qualità se associata ai volti delle anime perse presenti e sedute con strane inclinazioni sulle sedie nere, perlopiù in modo agitato/nevrotico. Ma alla fine nessuno di loro si poteva permettere il lusso di analizzarne la semiotica intrinseca, e così stavano lì, a fissare Mr. Kusumano negli occhi stanchi aspettando di sentire una salvezza indiretta, una immedesimazione, una complicità.
- e ciò che più mi spaventa è che la mia storia la conoscete già tutti. Anche chi ancora non l'ha capito.

* Tale soprannome si riferiva ad uno spiacevole inconveniente domestico accaduto alcuni anni prima, durante il quale il marito della signora R. rimase fatalmente ucciso a seguito di un taglio netto dell'organo riproduttivo per mano del paio di forbici da cucina solitamente usate nel giorno del Ringraziamento, e che nel loro cassetto in basso accanto al forno erano sempre state anonime e abbastanza noiose. Ms. R., la quale era nell'occasione dietro le suddette forbici, fu ritenuta in poco più di 5 minuti totalmente schizzata/malata/fatta dal terzo tribunale civile ordinario, e così confinata prima in una struttura di aiuto psichiatrico, e quindi ad attendere vari gruppi terapeutici, di cui quello del Bianconiglio (vedi in seguito) era per una serie di motivi di gran lunga il suo preferito.

EH2

venerdì

Il saggio è indifferente

Al pomeriggio ho provato a dormire ma non ci sono riuscito. Poi sono passato da Sciatz per ridargli il lettore cd. Era al telefono. Mentre aspettavo mi sono seduto sul suo letto a leggere il Tao di Laozi, trovato sul suo comodino.
Sulla punta dei piedi si perde l’equilibrio.
Con le gambe larghe non si cammina.
Chi si mette in mostra non risalta.
Chi pretende di aver ragione non si impone.
Chi si vanta non ha merito.
Chi si gloria non emerge.
Tali atteggiamenti davanti al Tao
sono come avanzi o parole ripetute fino alla nausea.
Cose che ognuno detesta.
Perciò colui che possiede il Tao non se ne occupa.

Sempre al telefono si è vestito e messo le scarpe, mentre io leggevo. Ha staccato un quadro dalla parete, con l’intenzione di regalarmelo, e me l’ha dato. Poi siamo usciti dal portone e sua madre mi ha urlato dalla finestra di ricordargli le uova. Sono partito in macchina ancora leggendo e, quando ha messo giù il telefono, gli ho chiesto “che uova?”.
Quando siamo arrivati alla cooperativa di agricoltura biologica io non sono sceso e, col finestrino abbassato, ho continuato a leggere il Tao. Aprendo pagine a caso.
Uno stato si governa con la rettitudine
una guerra si combatte con l’astuzia
ma il mondo si conquista con la non-azione.
Come so che le cose stanno così?
Da questo.
Più leggi e divieti ci sono nel mondo
più il popolo diventa povero.
Più il popolo possiede strumenti efficaci
più il paese è sconvolto.
Più gli uomini sono scaltri nelle arti
più oggetti bizzarri vengono prodotti.
Più si emanano leggi e decreti
più si moltiplicano ladri e briganti.
Perciò il saggio dice:
se pratico il non-agire il popolo da solo si riforma
se amo la quiete il popolo da solo si rettifica
se mi astengo dagli affari il popolo da solo si arricchisce
se sono senza desideri il popolo da solo torna alla semplicità.

Quando Sciatz esce con sei uova, nonostante sua mamma ne volesse dieci, gli passo il libricino chiedendogli se ha letto questa pagina. Mi fa segno di sì. Gli dico che dovrebbe essere la sua tesi di laurea in scienze politiche.
Poi arriviamo in gelateria, da Nico, e scopriamo che è chiusa. Prima di risalire in macchina però incontriamo Ianno: suo fratello era in classe con noi alle elementari. Ianno ha più o meno ventidue anni e ci racconta con la sua parlata veloce senza erre che lavora e convive con la sua ragazza e vuole comprare una bella casa grande in montagna dove la sua ragazza aprirà un ranch di cavalli e lui potrà fare moto-cross – perché nel frattempo si è dedicato al moto-cross – e pensano di comprarla a Trinità, che è un posto dopo San Polo e l’hanno già vista ma devono mettere via dei soldi ma se ne vogliono andare da qui e stanno davvero molto bene insieme.
Arriva anche la sua ragazza, che è più alta di lui, e specifica che Trinità non è proprio dopo San Polo, ma piuttosto sopra San Polo.
Prima di salire in macchina arriva la Je, che a sua volta si accorge della gelateria chiusa: decidiamo di andare dalla Tilde.
Facciamo in tempo a fermarci un attimo in biblioteca, perché Sciatz deve fare non so cosa. Non mi oppongo e ne approfitto per leggere ancora un po’ il Tao.
Cielo e terra sono indifferenti
trattano tutti gli esseri come cani di paglia.
Il saggio è indifferente
tratta il popolo come cani di paglia.
Lo spazio fra cielo e terra
è simile a un mantice
svuotato non si esaurisce
messo in moto produce sempre di più.
Le troppe parole si esauriscono presto.
È meglio tenersi nel mezzo.

Per un attimo credo seriamente che la lettura del Tao potrebbe prendere il posto che ha avuto, nelle ore di noia di Settembre, l’ascolto di Lily, Rosemary and the Jack of Hearts. Ma proprio mentre soppeso la possibilità, torna Sciatz.
Dalla Tilde mi offre un gelato pesantissimo che sostituisce parte del pranzo che ho saltato. La Je ci aspetta fuori e viene immediatamente subissata da richieste di denaro. Sciatz vuole soldi per il nuovo Stanzino. Io le dico che potrebbe usare il suo ascendente per convincere gente ad entrare nel nostro progetto – che, fra parentesi, ancora non esiste – e permetterci in questo modo di assecondare le mire espansionistiche di Cagno senza spendere troppo.
Cagno telefona a Sciatz e dice che ha trovato un posto perfetto in cui fare il nostro Stanzino, la nostra associazione culturale, il nostro luogo di ritrovo, scambio, organizzazione eventi, concerti mostre orge, progettazione rivoluzioni politiche e/o culturali.
La Je ci spiega che dei suoi amici hanno fatto più o meno la stessa cosa. Hanno tre anni meno di noi, un luogo che gli è stato affidato da chissà che associazione, e poche idee. Ma quelle poche le realizzano: domenica, ad esempio, hanno inaugurato una serata-cineforum che contano di ripetere.
Poi parliamo un po’ di non so cosa, finché la Je dice che se ne deve andare e coerentemente con questo concetto se ne va. Stiamo per alzarci anche noi quando arriva la mamma della Martini, un’altra nostra ex-compagna di classe delle elementari. Ci fa un sorrisone e si appoggia con i palmi delle mani sul nostro tavolino: “Allora come state, ragazzi? Cosa mi raccontate di bello? Come va?” E poi, senza lasciarci rispondere. “State bene? Cosa fate adesso? Lavorate, no?”
Le macchine passano nella strada dietro di noi. La Tilde sta chiudendo o ormai è ora di cena. Noi restiamo in silenzio un attimo, finché Sciatz sussurra un “no” e anch’io, con una smorfia, confermo. “No, non lavoriamo.”
Lo accompagno a casa e, per farmi lasciare il Tao – che non gli darò mai più – invento la scusa del nostro blog su cui non scrivo da un anno: gli dico che scriverò un post che parla del Tao e che fa delle proposte per lo stanzino.
Sciatz è titubante, ma alla fine mi lascia il libricino; sapendo che è un errore.
Trenta raggi convergono in un mozzo
dal vuoto centrale dipende l’utilità del carro.
Si modella l’argilla per fare un vaso
dal vuoto interno dipende l’utilità dello stesso.
Si aprono porte e finestre per fare una casa.
Infatti è solo dal non-essere
che si realizza l’essere.


Jack of Hearts.

Situazione - caso n.7313

Ci troviamo dunque obbligati ad andare avanti, obbligati a continuare la nostra storia, come se si fosse interrotta per un intermezzo pubblicitario. Sarebbe bello se a questo punto le parole non fossero più impresse sullo schermo, ma fossero lette da una voce femminile. Come se la nostra storia ci venisse raccontata da altri. Come se sapessimo già che ad una parola ne seguirà un’altra, sempre con la stessa cadenza, la stessa sonorità. Scivolando in questo modo, la voce si lascerebbe seguire, dentro ai meandri dell’esperienza, nelle soffitte dell’immaginazione, nel furore delle azioni e nella ricchezza dei dialoghi. Andremmo avanti così, fino alla fine delle parole, lasciandoci cullare dalle visioni che, diverse per ognuno, hanno l’intimità di ciò che nessun altro può sapere, il calore di un posto inaccessibile a chiunque tentasse di arrivarvi.

Il problema è che spesso questo non accade. Non ci sono parole. Non c’è voce femminile che ci legga le nostre azioni, spiegandoci a noi stessi, raccontandoci - o almeno facendoci intuire - dove stiamo andando. Dov’è la narratrice della nostra vita? Dove sono le frasi su cui lasciarsi andare, dimenticandoci di noi stessi per un po’, persi tra avventure e viaggi, tra luoghi polverosi e sentieri di montagna? Dov’è la nostra vita?

E’ come se la storia fosse arrivata ad un certo punto, ci fosse stato l’intermezzo pubblicitario e, infine, la voce non fosse più tornata. Allora mi sono trovato solo, a guardare uno spazio fisso senza percepirne la profondità. Cosa stavo facendo? Avevo la bocca impastata e gli occhi ancora incantati, ma il fenomeno più curioso veniva dalle orecchie. Dov’è ciò che le riempiva? Cos’è questa sensazione di vuoto? Nessuna risposta. Mi guardo attorno, aspettando che la voce riprenda a raccontarmi cosa vedo, ma non so cosa vedo, cosa sento, cosa devo fare. Non lo so. Posso immaginare cosa direbbe la voce, ma io non sono la voce e, soprattutto non so cosa raccontare di ciò che mi sta intorno.

“Ci troviamo a questo punto obbligati ad andare avanti, a continuare la nostra storia, nonostante la voce non abbia fatto ritorno dopo lo stacco pubblicitario. Gli oggetti, le persone, le situazioni sono immersi in una fredda oscenità. Provo a mettere in fila due parole, ma il risultato è una scarica di diarrea vocale. Come l’opposto di re mida trasformo in merda tutto quello che tocco. Guardo la lampada, mi dico ‘lampada’. Ma non è una lampada: infatti è merda. E’ merda perché non ha il gusto della lampada che c’era prima. E’ merda perché, nonostante tutto, io saprò per sempre che non è vero ciò che sto dicendo. Saprò di ingannare me stesso e gli altri. Io vi dico ‘lampada’, voi pensate ‘lampada’, invece è merda. Una bella fregatura. Credetemi, se sapessi come fare, se sentissi la voce da qualche parte farei parlare lei, o magari le farei da amplificatore. Il problema è che non la sento, per cui mi tocca ingannarvi mentre inganno me stesso, vendendo a tutti lampade che lampade non sono. Però cosa potete chiedere a me, che sono deluso quanto voi, se non di ammettere che non so cosa sto dicendo?”


Sig.Q