un gruppo di ragazzi, presumibilmente originari del Marocco, sfida a calcetto 5 emiliani.
i nordafricani sono 6. forse 7. subito litigano per chi debba rimanere in campo. arrivano ad un accordo. chi sta a fuori, a turno, inveisce premendo per rientrare.
gli italiani sono inferiori dal punto di vista atletico e raramente tentano il dribbling. il pallino del gioco resta in mano ai nordafricani per la maggior parte del tempo; essi stanno in tre sulla linea della palla e, dopo aver fatto un giochetto ciascuno, se la passano. ogni tanto cercano una giocata in profondità ma raramente si capiscono l’un l’altro e sotto porta peccano di ingordigia.
fra un invettiva e l’altra si scordano spesso di tornare in difesa, mentre gli italiani stanno arroccati intorno al portiere e appena possibile colpiscono in contropiede.
quando sono in superiorità numerica gli italiani accelerano e generalmente ne approfittano concludendo con una rete. in quei casi invece i nordafricani passano la palla indietro e ricominciano con i giochetti, per poi magari provare a tirare da lontano. puntualmente chi tenta il tiro da lontano viene coperto dagli insulti dei compagni di squadra.
gli italiani, che non hanno mai giocato agonisticamente a calcio ma praticano tutti altri sport, tengono sempre la palla bassa e, quando riescono, provano ad avanzare anche con rimpalli o azioni caotiche. i nordafricani, che hanno doti tecniche decisamente superiori e più allenate, non passano mai la palla se non dopo averla toccata almeno due volte con ogni piede e generalmente la tengono alta provando lanci o improbabili pallonetti.
quando perdono palla gli italiani corrono in difesa provando a contrastare gli avversari, i nordafricani tentano il fallo e, se non riesce, rientrano trotterellando insultando chi trotterella meno.
risultato finale: 7-1 per gli italiani. gli sconfitti, contrariati, si accusano a vicenda sfiorando la rissa e pressano per avere una rivincita.
qualcuno fa notare che se i nordafricani gestiscono le loro risorse economiche e territoriali come gestiscono la superiorità tecnica e fisica a calcetto non c’è da stupirsi se hanno dei problemi.
Murray
domenica
venerdì
Elogio del discount (take one)
EA sports and CCLS
with the partecipation of
NNCS
N'SYNC
ROB SWIFT
AEPAMINONDA
present
SUPER MARIO WORLD
animi necessitatis
the best of both worlds
coriandoli e popcorn
" sto defecando, e continuo finchè l'escremento trabocca dalla tazza del gabinetto, cominciando a riempire la stanza, alzandosi sempre più di livello -ormai sto affogando- e in quel momento mi sveglio con un orrore indicibile" Per questa persona la vita è diventata [...] TIPICO CASO DI NECROFILIA
Questo processo non si sviluppò in forma omogenea nei paesi latinoamericani nè si produsse senza ostacoli. TIPICO CASO DI RAPPORTO POST COLONIALE
tattaradattataaaaaaaaaa
credits 160.380
PLEASE ENTER YOUR NAME
t_o_a_d_
please insert coins
more players more coins
Killer Toad
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martedì
La necessità
-la mia tesi è che tu non esisti-
-e come pensi di dimostrarmelo-
-innanzitutto non penso di dimostrarlo a te. inizierei con una contraddizione. io non ti sento nemmeno parlare-
-però mi rispondi-
-hm. bbb. nnn. caro pubblico
-non c’è nessuno-
cominciamo con la dimostrazione: un mio compagno di classe delle elementari mi convinse che chi aveva gli occhi azzurri vedeva tutto azzurro-
-e chi aveva gli occhi verdi-
-chi aveva gli occhi verdi vedeva tutto verde. me lo dimostrò empiricamente. io avevo gli occhi azzurri. e vedevo il cielo azzurro. i jeans azzurrastri. i puffi azzurrognoli. le biglie bluastre bluastre-
-e le porte?-
-eccezioni-
-le case le persone il telefono la carne?-
-tutte eccezioni. egli mi dimostrò anche che le persone bionde non esistono-
-io sono biondo-
-infatti arriverò a dire che non esisti-
-perché?-
-perché a voler esagerare qui in Italia esistono le persone castane chiare. se uno è castano chiaro al massimo d’estate la salsedine del mare lo rende quasi biondo. ma mai fino in fondo-
-perché?-
-perché è un dato di fatto. se tu guardi, tutti gli italiani che rispecchiano l’archetipo del biondo sono tinti. infatti tu sei tinto-
-schiarito-
-vedi, quindi non corrispondi all’idea assoluta di biondo. non sei biondo?-
-si che lo sono. dopo che mi sono schiarito lo sono diventato-
-ecco. ecco, tu confermi che non esistono le persone bionde e poi ammetti di esserlo. quindi non esisti. è evidente-
-dannazione, la logica non sbaglia-
-hei. ma dove sei finito?-
palestrione
-e come pensi di dimostrarmelo-
-innanzitutto non penso di dimostrarlo a te. inizierei con una contraddizione. io non ti sento nemmeno parlare-
-però mi rispondi-
-hm. bbb. nnn. caro pubblico
-non c’è nessuno-
cominciamo con la dimostrazione: un mio compagno di classe delle elementari mi convinse che chi aveva gli occhi azzurri vedeva tutto azzurro-
-e chi aveva gli occhi verdi-
-chi aveva gli occhi verdi vedeva tutto verde. me lo dimostrò empiricamente. io avevo gli occhi azzurri. e vedevo il cielo azzurro. i jeans azzurrastri. i puffi azzurrognoli. le biglie bluastre bluastre-
-e le porte?-
-eccezioni-
-le case le persone il telefono la carne?-
-tutte eccezioni. egli mi dimostrò anche che le persone bionde non esistono-
-io sono biondo-
-infatti arriverò a dire che non esisti-
-perché?-
-perché a voler esagerare qui in Italia esistono le persone castane chiare. se uno è castano chiaro al massimo d’estate la salsedine del mare lo rende quasi biondo. ma mai fino in fondo-
-perché?-
-perché è un dato di fatto. se tu guardi, tutti gli italiani che rispecchiano l’archetipo del biondo sono tinti. infatti tu sei tinto-
-schiarito-
-vedi, quindi non corrispondi all’idea assoluta di biondo. non sei biondo?-
-si che lo sono. dopo che mi sono schiarito lo sono diventato-
-ecco. ecco, tu confermi che non esistono le persone bionde e poi ammetti di esserlo. quindi non esisti. è evidente-
-dannazione, la logica non sbaglia-
-hei. ma dove sei finito?-
palestrione
venerdì
mercoledì
Lettera dall'inferno (a Faser Lioton)
talvolta la voglia di ficcare il tuo tizzone ardente in qualche umido anfratto ti gioca dei brutti scherzi.
si finisce per mangiare banane virtuali sdraiati nello schermo. o accartocciare le pagine di un vecchio libro, snocciolato ma mai inteso, per pulire il biancastro piacere acido sui pantaloni. o si sublima la noia divertendosi a creare.
creare
creare creare.
non facciamo altro che creare. è il nostro spreco.
non ci importa il risultato. non ora almeno. ci importa l’atto.
l’atto.
tutto si può creare. perfino personaggi che non esistono infilati attraverso i cavi del web in corpi presumibilmente veri. direi che è arte, se non fosse una parolaccia.
perfino all’inferno dei molluschi non facciamo altro.
l’Alice de te creata è una Dea del sesso un po’ porca. profonda e marcia, con un retrogusto di Bukowski e due capezzoli turgidi che aspettano solo la tua carne fucsia.
l’Alice da me creata è un epigona ninfomane. vuota e scimmiottante, con una propensione per la scialbezza che mi fa soffrire lei, me stesso, l’uomo.
tu le dai le chiavi d’accesso delle nostra entità fucsia, sperando che una volta dentro di te possa farti godere. io gliele tolgo, perché ho troppa varechina inutile per aggiungerne altra.
non ci importa nulla della vera Alice.
ma io e te dobbiamo combattere.
Mr.Cheat
si finisce per mangiare banane virtuali sdraiati nello schermo. o accartocciare le pagine di un vecchio libro, snocciolato ma mai inteso, per pulire il biancastro piacere acido sui pantaloni. o si sublima la noia divertendosi a creare.
creare
creare creare.
non facciamo altro che creare. è il nostro spreco.
non ci importa il risultato. non ora almeno. ci importa l’atto.
l’atto.
tutto si può creare. perfino personaggi che non esistono infilati attraverso i cavi del web in corpi presumibilmente veri. direi che è arte, se non fosse una parolaccia.
perfino all’inferno dei molluschi non facciamo altro.
l’Alice de te creata è una Dea del sesso un po’ porca. profonda e marcia, con un retrogusto di Bukowski e due capezzoli turgidi che aspettano solo la tua carne fucsia.
l’Alice da me creata è un epigona ninfomane. vuota e scimmiottante, con una propensione per la scialbezza che mi fa soffrire lei, me stesso, l’uomo.
tu le dai le chiavi d’accesso delle nostra entità fucsia, sperando che una volta dentro di te possa farti godere. io gliele tolgo, perché ho troppa varechina inutile per aggiungerne altra.
non ci importa nulla della vera Alice.
ma io e te dobbiamo combattere.
Mr.Cheat
martedì
TRILOBITI
La vostra speranza di una realtà fossilizzata e fossilizzante non è che un castello di sabbia di fronte alle onde del mare.
Marin Faliero
Marin Faliero
venerdì
Salam
pagina bianca.
sporcata
non lo è più.
che peccato
era bello
pensare i possibili
modi
per farlo.
Amiga 600
sporcata
non lo è più.
che peccato
era bello
pensare i possibili
modi
per farlo.
Amiga 600
mercoledì
Recensione di Centochiodi
Uscendo dalla sala si è subito turbati dal pensiero che una pellicola così l’avrebbe potuta girare soltanto un grande e riconosciuto regista. Perché a chiunque altro, privo del cognome blasonato, sarebbe risultato arduo trovare chi credesse in un progetto del genere; in cui si mescolano consumati clichè e la malsana speranza che qualche bella frase sparsa, mescolata a usurate banalità, possa bastare per fare un film.
L’idea iniziale è stupenda: l’affermato filosofo che si ribella come fosse un atto dovuto contro la cristallizzazione della cultura, al grido di tutti questi libri non valgono una carezza; compra cento chiodi; sottrae un mazzo di chiavi; inchioda tutti i gli antichi volumi al pavimento della biblioteca e poi fugge. Sarebbe potuta essere una magnifica opera d’arte Dada. Il fulcro di un happening surrealista. Una metafora di un qualche poeta o filosofo. Anche soltanto un cortometraggio di cinque minuti.
Invece, dopo l’illusione iniziale, lo spettatore è costretto a subire un polveroso accostamento di vecchie idee neanche troppo re-interpretate.
Il mito del buon selvaggio incarnato da una piccola comunità idilliaca sulle rive del Po che sembra scimmiottare le proteste anti-TAV. Un ingiustificato pout pourri fra religione e cultura, in cui a un certo punto Raz Degan critica l’utilità di tutti i libri mai scritti dall’uomo, il sacerdote gli risponde parlando dell’unica opera dettata presumibilmente da Dio e quello tira fuori dal cilindro un Dio non è stato capace nemmeno di salvare suo figlio dalla croce. Subito seguito da una (non menzionata) citazione di Bukowski: nel giorno del giudizio sarà Dio a dover rendere conto di tutta la sofferenza del mondo.
E poi !?
Basta aggiungere le numerose pedo-inquadrature ai costumini delle bambine e ai loro volti maliziosi; qualche personaggio manichesita come il maresciallo buono, la ragazza di campagna che arrossisce, il ragazzo ignorante ma solidale, l’uomo di chiesa reso arido dalla cultura, i vecchietti amanti del vino rosso e privi di pregiudizi, il professore bono in BMW che si riscopre eremita e il custode un pò picchiatello. Ecco: mescolate tutto con un atavico odio verso il dogmatismo, aggiungete frasi non vostre, che qualsiasi bambino di qualsiasi scuola elementare potrebbe pronunciare, ma mettetele in bocca a un figo come Raz Degan e il vostro film itellettualoide è pronto. Attenti però se non vi chiamate Olmi: tutti avranno subito l’impressione che al di là dell’immagine poetica dei libri inchiodati non vi sia nulla.
Ad una mente modesta che vuole porsi in condizione dubitativa sorge sicuramente il sospetto di non aver inteso qualcosa. Forse che dietro alle lente inquadrature mute, unica nota un pò vintage, si nasconda un intuizione che a noi è sfuggita?
A tal proposito un amico, appena usciti dalla sala, propone di riguardarlo. Ma la sola idea atterrisce tutti i presenti.
In effetti le grandi opere d’arte hanno saputo coniugare la complessità semantica con la piacevolezza della fruizione e riguardo questo film, anche volendosi imporre un epochè sul primo punto, si è costretti ad ammettere che il secondo manca.
comitato cinema fucsia
L’idea iniziale è stupenda: l’affermato filosofo che si ribella come fosse un atto dovuto contro la cristallizzazione della cultura, al grido di tutti questi libri non valgono una carezza; compra cento chiodi; sottrae un mazzo di chiavi; inchioda tutti i gli antichi volumi al pavimento della biblioteca e poi fugge. Sarebbe potuta essere una magnifica opera d’arte Dada. Il fulcro di un happening surrealista. Una metafora di un qualche poeta o filosofo. Anche soltanto un cortometraggio di cinque minuti.
Invece, dopo l’illusione iniziale, lo spettatore è costretto a subire un polveroso accostamento di vecchie idee neanche troppo re-interpretate.
Il mito del buon selvaggio incarnato da una piccola comunità idilliaca sulle rive del Po che sembra scimmiottare le proteste anti-TAV. Un ingiustificato pout pourri fra religione e cultura, in cui a un certo punto Raz Degan critica l’utilità di tutti i libri mai scritti dall’uomo, il sacerdote gli risponde parlando dell’unica opera dettata presumibilmente da Dio e quello tira fuori dal cilindro un Dio non è stato capace nemmeno di salvare suo figlio dalla croce. Subito seguito da una (non menzionata) citazione di Bukowski: nel giorno del giudizio sarà Dio a dover rendere conto di tutta la sofferenza del mondo.
E poi !?
Basta aggiungere le numerose pedo-inquadrature ai costumini delle bambine e ai loro volti maliziosi; qualche personaggio manichesita come il maresciallo buono, la ragazza di campagna che arrossisce, il ragazzo ignorante ma solidale, l’uomo di chiesa reso arido dalla cultura, i vecchietti amanti del vino rosso e privi di pregiudizi, il professore bono in BMW che si riscopre eremita e il custode un pò picchiatello. Ecco: mescolate tutto con un atavico odio verso il dogmatismo, aggiungete frasi non vostre, che qualsiasi bambino di qualsiasi scuola elementare potrebbe pronunciare, ma mettetele in bocca a un figo come Raz Degan e il vostro film itellettualoide è pronto. Attenti però se non vi chiamate Olmi: tutti avranno subito l’impressione che al di là dell’immagine poetica dei libri inchiodati non vi sia nulla.
Ad una mente modesta che vuole porsi in condizione dubitativa sorge sicuramente il sospetto di non aver inteso qualcosa. Forse che dietro alle lente inquadrature mute, unica nota un pò vintage, si nasconda un intuizione che a noi è sfuggita?
A tal proposito un amico, appena usciti dalla sala, propone di riguardarlo. Ma la sola idea atterrisce tutti i presenti.
In effetti le grandi opere d’arte hanno saputo coniugare la complessità semantica con la piacevolezza della fruizione e riguardo questo film, anche volendosi imporre un epochè sul primo punto, si è costretti ad ammettere che il secondo manca.
comitato cinema fucsia
domenica
aspettative autorealizzantesi
[...]erano anni, quasi una vita ormai, che sua madre gli diceva che non era normale. Lui aveva cercato ovunque un esempio di normalità da seguire, invano.[...]
Dopotutto, lui, beh... non poteva certamente deludere chi l'aveva generato[...]
Marin Faliero
Dopotutto, lui, beh... non poteva certamente deludere chi l'aveva generato[...]
Marin Faliero
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