martedì

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Era accaduto quando stava ancora con Mark Robertson, il ragazzo che aveva conosciuto al Kentuky Café.
A cena con la compagnia di Mark, domenica sera d’estate, in un posto in cui lei dopo non era più tornata perché la luce era troppo forte nelle sale.
“Allora ti racconto cosa è successo a noi domenica scorsa” aveva detto lui.
Si era accorta di avere portato con sé la sensazione dal momento in cui Clara le aveva telefonato per invitarli alla cena.
La certezza inespressa che lui avrebbe raccontato agli altri.
Probabilmente usando le stesse parole che aveva impiegato per esercitarsi su lei durante il viaggio di ritorno.
Aveva immaginato anche di sapere come avrebbe iniziato: partire da un pretesto inesistente nel borbottio generale rivolgersi a qualcuno vicino a lui sperare che gli altri lo avrebbero seguito.
“... più o meno dove avevamo trovato quel posto per pescare”
Stava chino verso Theo. Aveva spostato lo sguardo lento su Alfred e Clara e aveva ripreso fluido la sua posizione naturale. Tutto senza smettere di parlare.
“... una strada sterrata larga che la taglia fino in fondo. Se la fai tutta arrivi sulla strada che porta a Fokspitts”
“Ah, ho capito” aveva risposto Alfred. Facendo sì con la testa e dimostrando l’aria intelligente che stringe gli occhi tra zigomi e sopracciglia.
Tutti lo stavano ascoltando.
Mark aveva approfittato dell’interruzione per portare il pollice alla bocca, mordere nervosamente unghia con due contrazioni istantanee mascellari e scambiare con Alfred uno sguardo sottecchi. Come per tastare la sincerità dell’amico.
Aveva abbassato la mano sulla tavola e aveva scivolato indice sull’unghia.
“ Niente, ad un certo punto vediamo sulla destra poco più avanti di noi una macchina che sembrava uscita da uno di quei film di Ritorno al Futuro, tutta impolverata. Stava piantata in mezzo a una conca -di quelle che è chiaro che le devi evitare per non grattare sotto- ma il tipo dentro continuava a dare di gas. Ti dico solo che c’era già odore di bruciato. Erano sprofondati nella sabbia con tutte e due le ruote davanti e il tipo continuava a dare di gas. Non lo so, se avesse avuto una Q7 forse avrei potuto crederci, ma quella macchina avrà avuto almeno trent’anni. E per di più era una famigliare. Da noi arrivano delle macchine del genere e il primo consiglio che gli diamo, a chi le porta, è che farebbero prima a comprarne una nuova, che con gli incentivi e tutto il resto spenderebbero la metà di quello che spendono per sistemarle. Magari per ridargli tre mesi di vita. I ragazzi giù in officina me lo raccontano, gli dicono di venire a parlare con me o con Tom, glielo dicono ancora prima di aprirle, ma questi tipi ci sembrano affezionati. Dico, se ci sei affezionato va bene, ma non puoi andare a farci le gite e sperare che ti vada sempre tutto così bene. Infatti poi si vede. Comunque ho pensato che magari potevano avere bisogno e mi sono fermato per andare a vedere. Anche se lei non voleva”.
L’aveva indicata, inclinando testa sulla spalla, ma senza guardarla.
Si era sentita in gioco.
Era successo mentre stava decifrando rumore di conversazioni sovrapposte, nella sala con troppa luce, con troppe persone lasciate andare in onda di parole senza senso.
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Sapeva che gli altri continuavano a estrarle giudizi.
Era in silenzio poteva restarci ancora un attimo.
Aveva abbassato le palpebre, si era raddrizzata un poco e gli aveva sorriso.
Poi aveva detto qualcosa tipo “Ma scusa eh! E tu cosa vuoi da me?”
Con un fare civettuolo.
Mark, che sembrava più attivo, aveva sorriso e alzato le mani per proteggersi il petto dicendo “ Noo, no, niente, anzi, avremmo fatto meglio a lasciarli cosi com’erano. Dicevo appunto che avevi ragione tu. Che hai sempre ragione tu” e si era chinato per darle un bacio.
Lei si era accorta nel riceverlo che Alfred si era girato verso destra e che aveva perso uno sguardo inconscio verso le gambe della fidanzata di Theo prima di raggiungere Clara con un sorriso.
Gli altri nel frattempo sembravano essersi rilassati sulle loro sedie.
“No. La verità è che volevo fare affari anche di domenica” aveva poi aggiunto Mark, rivolto di nuovo agli altri.
Nel riprendere il racconto le aveva allungato una mano dietro la schiena e l’aveva appoggiata sul suo braccio nudo, facendo pressione con le dita per qualche secondo.
Lei aveva sentito sulla pelle dita umide, le unghie mangiate, spezzate avrebbero sfregato forse il braccio.
Le dispiaceva farci caso.
Poi aveva pensato che la stretta fosse il suo modo di sostenerla.
Un tizio due tavoli più in là stava fallendo nel dissimulare un attacco di tosse attraverso tanti colpi ritmati secchi, come se si stesse schiarendo la gola.
A ripetizione.
Lo trovava estremamente irritante.
Avrebbe voluto che qualcuno, forse il cameriere, intervenisse per sbatterlo fuori.


A guy from Brixtol