venerdì

Mucche. [Take Two]

La plastica appoggiata al mio orecchio iniziava a scaldarsi, a diventare appiccicosa. Ancora pochi minuti e si sarebbe sciolta nella mia mano, ricoprendo la voce ruvida dall'altra parte, gocciolando sul pavimento. Sentivo già il suo odore acre, pungente come amoniaca, mischiarsi con il nulla di quella mattina surreale.
Parlava a nome dell'Internazionale delle Mucche. Voleva una cosa che mi apparteneva. Serviva un accordo. Provai a ripetermi nella testa queste parole, nel tentativo di tirarne fuori un senso, un appiglio, ma era del tutto inutile. Non sapevo cosa pensare. Rimasi in silenzio, con nell'orecchio quella strana interferenza, simile ad un respiro metallico. Nessuno disse nulla.
-Se non le dispiace preferirei continuare questa conversazione di persona. Sono abituato a trattare gli affari in condizioni più intime, e sono sicuro lei la pensi allo stesso modo. Una macchina la passerà a prendere tra pochi minuti, ma faccia pure con comodo. Aspetterà tutto il tempo necessario. A presto.
A questo punto la voce svanì, insieme al sottofondo che la accompagnava. Al loro posto il bip-bip della linea vuota si susseguiva regolare. Aspettai alcuni istanti, quindi rimisi la cornetta al suo posto. La maglietta bagnata di sudore si era ormai attaccata alla mia schiena, un sudore tiepido e inodore. Il suono delle cicale era il solo rumore cha arrivava da fuori. Il mondo era come morto, annegato sotto al caldo denso come nebbia.
Magari era tutto una finzione, una strategia publicitaria per qualche nuovo prodotto pronto ad entrare in commercio. Magari si trattava di un banale scherzo di un gruppo di ragazzini, fumando sigarette e bevendo birra intorno ad un telefono pubblico. Pensai queste cose, ricercando un senso per quella telefonata, per quella voce salita da un buco profondo, ma nonostante ciò sentivo che un'impressione di concretezza attraversava tutta la faccenda. Sentivo che tra poco una macchina si sarebbe fermata sotto casa mia, reale e bollente dal sole. Mi passai le mani sulla faccia, con la barba di un paio di giorni che iniziava a bucare come piccoli spilli. Non sapevo cosa fare. Non sapevo se quella era realmente la mia faccia. Nel suo tappeto d'ombra Mia sembrava dormire, stesa su un fianco, all'oscuro di tutto.
Lasciai passare un pò di tempo, respirando lentamente, senza il minimo movimento. Non avevo nessun impegno per la giornata, l'ufficio sarebbe rimasto chiuso per via di alcuni controlli aziendali, e uscire fuori per una corsa sarebbe stato un suicidio. Sarei dovuto andare a fare le spesa, ma dopotutto non era così urgente. Avevo ancora qualcosa nel frigo, e pensai che sarebbe facilmente bastato fino al giorno seguente. Niente sembrava impedirmi di andare in fondo a tutta quella strana faccenda.
Andai in camera, presi una maglietta pulita, un paio di pantaloni leggeri, e me li infilai. Ad ogni movimento l'aria si faceva più rarefatta, quasi fossi sulla Luna. Dopo essermi buttato dell'acqua fredda sul volto, fissai la mia immagine nello specchio del bagno. Appariva consumata, le guance leggermente infossate, quasi qualcuno la stesse svuotando dall'interno. Velocemente ci passai un asciugamano sopra, quindi tornai nel salotto. Fermo sulla porta osservai il cartone di latte rimasto sul tavolo, la striscia di luce che attraversava il pavimento, Mia addormentata nella solita posizione di prima. Tutto appariva come un quadro, in cui i colori si stiano piano piano sciogliendo, confondendosi tra di loro.
Nel frigo la sola cosa da bere che trovai fu una birra. Era mattina, ma non avevo altre soluzioni. La aprii, lasciando cadere il tappo con un suono metallico sul tavolino davanti al divano. Ne presi un lungo sorso, lasciandola scivolare lungo la gola, fredda come ghiaccio. In pochi istanti mi sentii meglio. Un soffio d'aria calda arrivato chissà da dove mi accarezzò la faccia. Presi un secondo sorso, andando a piccoli passi verso la finestra. Nella luce accecante guardai giù. Una lunga automobile nera era parcheggiata esattamente davanti al mio portone. In mezzo a tutta quella luce pareva una goccia di petrolio sopra un lenzuolo bianco. Intorno non accadeva nulla, nessun movimento. Un attimo dopo qualcuno bussò alla porta.
Sorpresa dal suono improvviso, Mia si svegliò, alzandosi a mettendosi a sedere, come aspettando qualcosa. Passandosi la lingua rosa sul naso mi guardò con aria confusa, quindi si stirò nuovamente. Pochi istanti e sentii bussare ancora. Con passi pesanti andai verso la porta, fermandomici davanti, indeciso su cosa fare. Cosa sarebbe successo se non avessi aperto? Chi era a bussare dall'altra parte? Forse non c'era nessun collegamento tra la telefonata e la macchina ferma in strada, forse era soltanto la consegna della posta. Per un momento ripensai alla voce dall'altra parte della cornetta, reale e solida come una pietra. In un ultimo lungo sorso finii la birra che avevo in mano, quindi aprii la porta.

EH16